PODCAST. “L’arrampicata è un’ossessione e uno stile di vita”, Stefano Ghisolfi: “Dietro un progetto ci sono dubbi e fallimenti, il risultato è un lungo percorso”

TRENTO. “L’arrampicata è un po’ un’ossessione e uno stile di vita”. A dirlo l’arrampicatore Stefano Ghisolfi. “Si è un po’ egoisti perché siamo soli, ma ci sono anche aspetti sociali. Ho cercato di annullare un po’ l’ego con ‘Exalibur’ perché abbiamo deciso di aprire il progetto a tutti. Questo credo che sia un po’ il futuro per sviluppare un alto livello di questa disciplina e per condividere l’esperienza con gli altri. Arrampicare è un privilegio, siamo fortunati”.

Il più forte arrampicatore italiano e tra i migliori al mondo, Stefano Ghisolfi è ospite di “Da quassù“, il podcast de Il Dolomiti realizzato da Marta Manzoni. E’ un periodo intenso tra le qualificazioni alle Olimpiadi di Parigi e la via Silence, una 9c: “Ho deciso di non abbandonare le gara e la roccia. Siamo in pochi a misurarci su entrambe le strade, ci sono Adam Ondra e Jakob Schubert. A questi impegni ho messo in mezzo anche un altro progetto, il ‘Boulder of dreams’. Sfide difficili, ma gli allenamenti corrispondono abbastanza, l’unica differenza sono un po’ di blocchi”.  https://www.youtube.com/watch?v=wtE92zu6qFw&t=2s

Tra Ghisolfi e l’arrampicata è scoccata la scintilla praticamente subito e poi l’approccio è stato graduale. “Ho provato a scalare a 11 anni dopo una gara di mountain bike e mi sono innamorato dei movimenti e dello sport. Da lì è partito tutto. Ho abbandonato quasi subito la bici e ho iniziato con le gare promozionali fino a quelle di coppa del mondo. Poi sono diventato atleta delle Fiamme Oro e professionista”.

Quali aspettative per le Olimpiadi? “A Tokyo c’era un set di medaglie solo perché le discipline erano tutte unite. In Francia si cambia, la speed viene separata, poi ci boulder e lead in combinata. Sarà meglio per tutti. Non siamo contenti al 100% ma è un passo in avanti rispetto. L’obiettivo è qualificarsi in Francia”. I Giochi possono essere sostenibili? “Ho vissuto gli anni delle Olimpiadi invernali di Torino e ho visto l’impatto che hanno lasciato, i lati positivi e quelli negativi. Qualsiasi evento lascia un impatto ma il mio sport in artificiale non è così impattante. Le pareti vengono smontate a evento finito e sono riutilizzabili in altri eventi”.

L’arrampicatore si misura su superfici indoor e quelle outdoor. “Il futuro penso che sia la roccia. Qui cerco di trovare un equilibrio tra la scelta sulla difficoltà e l’iconicità. Il primo impulso è di cercare qualcosa di difficile che mi metta alla prova, poi decido quello che mi si addice di più e che mi diverte di più. Non è solo una questione di record e performance, altrimenti farei solo le gare. Poi cerco di combattere l’ideale di perfezione e che siamo super eroi. Sui social mi piace far vedere che c’è dietro un progetto perché non sempre siamo subito forti o all’altezza ma c’è la preparazione, ci sono i dubbi e anche i fallimenti”. Si parla anche di crisi climatica. “Viviamo l’attività sempre più in inverno. Nell’arrampicata c’è un impatto minore rispetto all’alpinismo ma anche noi ci accorgiamo dei cambiamenti”. 

Torinese di nascita, Ghisolfi è arcense d’adozione. “Nell’Alto Garda c’è una varietà pazzesca tra una falesia e un’altra. E’ poi un luogo storico per questa disciplina”. Un lavoro che gli permette di vedere numerosi luoghi. “Ogni viaggio mi ha insegnato qualcosa. Le gare mi concentrano di più sulla prestazione, mentre quelli in falesia consentono di scoprire di più un’area. Tutto è più vicino di quello che sembra“.

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